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Michele Plastino, da trent'anni il 'talent scout' dei telecronisti sportivi

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Fonte: Il Riformista

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Dici Michele Plastino e non c'è appassionato di calcio che non lo conosca. Forse nascosto al grande pubblico (ma non è detto), può essere considerato il pioniere delle moderne trasmissioni calcistiche, il maestro di protagonisti del giornalismo televisivo come Sandro Piccinini e Fabio Caressa, solo per fare due nomi.

Dietro le quinte delle piccole televisioni private, ha cominciato a raccontare il calcio persino prima di Aldo Biscardi. E Processo nacque nel 1980, il suo Goal di Notte un anno prima, nel 1979, a TeleRoma56. E quest'anno festeggia il trentesimo compleanno, in onda ogni domenica sera su T9. Un record. Di come sia il cambiato il pallone dagli anni Ottanta a oggi e di come sia cambiato l'uso delle tv ne parliamo con lui. Con chi in Italia ha portato il calcio inglese quando ancora non potevamo vedere quello italiano.

Allora, Plastino, partiamo proprio da Goal di Notte.
Un record: tre decadi con la stessa denominazione e lo stesso autore-conduttore. Io stesso credo di aver raggiunto un primato, non ho mai saltato una puntata. Una volta stavo per non farcela. Alla fine, per non mancare, mi sono dovuto far mettere un catetere in camerino. La fortuna della trasmissione è dovuta alla mia voglia di andare nei buchineri, nella terra inesplorata. Era l'epoca delle prime tv private, e mi ero reso conto che nella capitale mancava l'attenzione sulla Roma e la Lazio, in particolare in un orario più consono al mio metabolismo. Noi infatti partivamo a mezzanotte, dopo la Domenica Sportiva.

Un salotto del calcio.
Sì, ma con tanto spazio dedicato al pubblico, alle telefonate da casa. Per me questo è sempre stato un aspetto fondamentale. Lo è ancora oggi.

Ricorda qualche ospite particolare?
Ce ne sono stati tanti. Mi piace ricordare che ho ospitato Platini, Maradona e Falcao. Il francese era geniale. Una volta in trasmissione per spiegare la differenza tra le punizioni di potenza e quelle a giro fece questo paragone: «quelle di forza sono uno spumantino di scarsa qualità, quelle a giro, champagne puro». Di Maradona invece ricordo la dolcezza e la simpatia. Era un uomo di un'infinita umanità, ma era pur sempre Maradona. Il giorno prima della trasmissione non riuscii nemmeno a parlargli. Era chiuso in albergo in dolce compagnia. La sera dopo, invece, avevamo preparato una festa. Gli mandai una macchina e l'autista fu costretto ad attendere per due ore sotto la casa di una "gentile signora". Di quelli che furono i suoi problemi con la droga non ho un ricordo personale, ma di altre sue doti sì. Falcao era un habitué. Un uomo dall'intelligenza superiore, dal ragionamento in più. Uno, insomma, da non giocarcia poker. Con lui, essendo io laziale, mi andava sempre bene, avevo una vera assicurazione. Se la Roma vinceva, veniva in trasmissione, se perdeva, ero contento lo stesso.

Si dice che fu lei a portare in Italia il calcio straniero.
All'epoca ero molto legato ad alcuni giocatori. Mi ero appena laureato in giurisprudenza e davo loro consigli e consulenze sui contratti. In questo senso sono stato forse il primo procuratore in Italia. Purtroppo molti dei calciatori che avevo scelto io, li avevano scelti anche quelli del calcio scommesse. Per me, che amavo il calcio, fu uno shock. Decisi così di legarmi non più auomini ma a fatti: comprai i diritti del calcio inglese, tedesco, spagnolo, brasiliano. All'epoca vedere le partite estere era un'assoluta novità: per trasmettere Real-Barcelloria, per fare un esempio, pagavo solo 15 miloni. Cominciammo a fare ascolti importanti, a quel punto i diritti me li scipparono. Per causa di forza maggiore, dico io. In poche parole si mise in mezzo la Lega. La risposta che mi diede Matarrese fu singolare, mi disse che trasmettendo queste partite si rischiava di inflazionare il calcio in Italia. Prima Ì calciatori, poi i diritti de] calcio estero. Ammetto che questo uno-due mi creò molta frustrazione. Credo che nella vita, almeno in Italia, non si debba mai essere anticipatori. Bisogna aspettare che qualcun altro fàccia le cose, poi in caso seguirlo. Questo purtroppo è il mio destino. Sulla mia lapide voglio far scrivere "Pioniere e Laziale".

Non male. Laziale viaggiatore, però.
E sì. Ho cominciato a Roma e non l'ho mai lasciata. Però ho lavorato anche in altre città. Dal 1984 al 1992 ho lavorato a Milano, dove ho inaugurato Qui studio a voi stadio. All'epoca il direttore generale di Telelombardia era Paolo Romani (oggi sottosegretario alle Comunicazioni ndr). Anche lui un anticipatore, ma al contrario di me sapeva tutelarsi. Poi a Napoli, dove ancora lavoro. Qui ho fatto la trasmissione che mi ha dato la maggior soddisfazione. Una diretta di 24 ore in attesa del primo scudetto, ovviamente con filo diretto: una gioia pazzesca. Avevamo uno studio aperto, chi voleva partecipava e collegamenti in diretta da tutta la città. Ventiquattro ore di commozione.

A Roma ricordano un'altra sua storica diretta: quando la Lazio rischiò il fallimento, sempre nel 1987.
Quella fu ancora più lunga, 27 ore. Scherzando potrei dire che Telethon l'ho inventato io. L'obiettivo era di smuovere la città. Si concluse con una straordinaria telefonata di Dino Viola (all'epoca presidente della Roma ndr) che mi disse «Stasera, per la prima volta in vita mia, mi hai fatto essere laziale».

A lei sono legati molti volti noti della tv.
Ora mi fa sentire vecchio. Era il 1986 e all'epoca per un appassionato di giornalismo era difficile riuscire a fare questo lavoro. Era un momento in cui c'era pluralità di informazione e i giovani potevano iniziare a fare questo mestiere. Così fondai il 'Ticcolo Gruppo", una scuola di giornalismo sportivo. Tra i miei allievi ricordo Fabio Caressa, Pierluigi Pardo, Massimo Marianella, Gianni Cerqueti. Un mio giovane collaboratore, poi, era Sandro Piccinini.

Facciamo un po' di pagelle al volo. Caressa.
Quando aveva 19 anni ero certo che sarebbe arrivato. Ne ho conosciuti pochi così determinati. Conservo ancora il suo primo compito, posso ricattarlo per tutta la vita. Lui sa a cosa mi riferisco. Dopo la vittoria del mondiale 2006 mi ha mandato un sms particolare, se lo rileggo mi viene ancora da piangere.

Piccinini.
Quando è stato partorito il medico ha sicuramente detto «questo sarà un telecronista. E un grande professionista.

Cerqueti.
Gianni è un altro grande professionista. Molto misterioso come persona, enigmatico. È un bel tipo.

Marianella.
Quando è nato hanno detto «questo si deve occupare di calcio». Poi però si è distratto con il tennis.

Pardo.
Estremamente determinato anche lui. E con una proprietà di linguaggio che ho visto raramente. A tutti ho cercato di insegnare che il calcio è importante soprattutto dal punto di vista sentimentale. Bisogna trasmettere emozioni, andare oltre la cronaca. Poi sono convinto che chi tratta questa materia debba studiare, conoscere gli aspetti tecnici. Da questo punto di vista mi dispiace, ma il calcio non è opinabile.

Lei è tifoso della Lazio, politicamente invece è di sinistra. Stando ai luoghi comuni quasi una contraddizione.
Quando sono nato sono diventato subito della Lazio, allora certe divisioni non esistevano. Politicamente non saprei come definirmi, sono un vecchio idealista, apprezzo molto Veltroni. Ammetto che questa condizione mi ha creato un momento di disagio. Il momento più doloroso è stato Lazio-Arsenal: una marea di celtiche e cori razzisti. Per la prima volta me ne sono andato prima della fine della gara. Poi ho iniziato a chiedermi perché. Ho dato grandi colpe alla sinistra che ha snobbato il calcio come momento aggregativo, lasciando spazio alla destra estrema.

Con la televisione a pagamento è cambiato il modo di raccontare il pallone?
Certo. In meglio, perché la ricchezza di immagini che c'è ora prima non c'era. Ma anche in peggio. C'è un gran distacco, le belle immagini fanno molto Playstation. Ma è un calcio virtuale. Devo dire che la televisione privata fa ancora grandissimi numeri, ma noi siamo stati danneggiati clamorosamente. Prima entravamo allo stadio con le telecamere e la sera potevamo mostrare fino a tre minuti di riprese, anche se poi si sforava sempre... lo mi mettevo dietro la porta, avevamo delle immagini bellissime. Adesso non si può più.

È vero quel che si dice in merito alla storica rivalità con Moggi?
Era il 1985 quando iniziai a parlare di lui usando il termine della "Piovra". Mi riferivo a quel sistema di direttori sportivi collegati tra di loro. Nel 1999 venne in trasmissione, mi ricordo che lo feci entrare in studio con la musica del Padrino. Lo ritengo responsabile, ma il colpevole non è solo lui. Sono certo che Calciopoli non ha fatto davvero pulizia.

E sul doping è stata fatta pulizia? 
Il doping nel calcio esiste. Solo che non possiamo sapere a che punto sta, perché è molto più avanti dell'antidoping. È comunque palese che ci sono state troppe gare, ritmi troppo sostenuti. Nel fisico di alcuni giocatori si è assistito a delle metamorfosi difficilmente spiegabili. Il processo alla Juve, comunque, non è servitca molto. Bisogna allargare gli orizzonti: la Juventus in tema di abuso di farmaci non era mica arrivata per prima. Su questo Moggi non sapeva neanche di cosa si parlava.

Vabbè, la lasciamo alla sua trasmissione in radio.
Me ne vado un po' intristito, dopo aver pensato al passato, a tutte le occasioni perse... Però devo ringraziarvi, oggi mi avete fatto fare terapia.

Marco Sarti
per "Il Riformista"

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