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Tv pubblica perde, Mediaset cresce Rai in rosso per 600 milioni da qui al 2012

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Fonte: Corriere.it

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Economia
CavalloMasi profetizza, con un buco di 210 milioni di euro nel prossimo anno e una voragine di 600 milioni da qui al 2012, bisogna tornare indietro di quindici anni. Silvio Berlusconi aveva già vinto le sue prime elezioni quando, nella primavera del 1994, la Rai «dei professori», allora presieduta da Claudio Demattè, archiviò il bilancio 1994 con una perdita di 479 miliardi di lire. Dopo un decennio di follie, durante il quale la tivù di Stato si era dissanguata nella concorrenza alle reti televisive del premier in pectore, era stato toccato il fondo.

Da quel punto, insomma, si poteva soltanto risalire. A differenza di quello che sta accadendo ora. Perché all?inizio degli anni Novanta la situazione disastrosa dei conti aziendali era la conseguenza di un indebitamento allucinante, che costringeva la Rai a pagare centinaia di miliardi di lire di interessi. Ora, invece, la tivù di Stato ha 956 milioni di euro di debiti: ma in gran parte, come tutte le imprese soprattutto pubbliche, nei riguardi dei fornitori. L?esposizione con le banche è pressoché inesistente. Mentre, fatto ben più preoccupante, non c?è altra azienda pubblica, a parte forse la Tirrenia di navigazione, che debba fare i conti con problemi strutturali tanto pesanti.

Il calo della pubblicità, per esempio. Quest?anno la flessione netta degli introiti dovrebbe aggirarsi intorno ai 140 milioni, dopo i 40 già perduti nel 2008. Si dirà che con i tempi che corrono soffre tutto il settore. Anche il principale concorrente: Mediaset. Intanto però, se è vero che gli incassi pubblicitari del gruppo che fa capo al presidente del Consiglio sono rimasti nel 2008 pressoché stabili (a un livello quasi triplo rispetto a quelli della Rai, 2.881 milioni contro 1.187), il fatturato ha continuato a crescere. I ricavi consolidati di Mediaset hanno toccato 4.251,8 milioni, con un aumento del 4,2%, raggiungendo un livello superiore del 32% a quello della Rai: un miliardo tondo in più.

Va detto che questa cifra comprende le attività non indifferenti della controllata spagnola Telecinco. Ma anche limitandosi al perimetro italiano, tuttavia, Mediaset ha sorpassato la Rai: 3.271 milioni contro 3.210.

È la prima volta che accade. Ma non poteva essere diversamente in un anno, il 2008, nel quale il fatturato Rai è sceso dello 0,7% e quello di Mediaset Italia è al contrario lievitato del 9%. Merito degli incassi della pay tv, opzione strategica alla quale la Rai ha sostanzialmente rinunciato. Mettendosi così nelle assurde condizioni di una tivù commerciale, con azionista pubblico, che ha scelto di stare fuori del mercato. Né va meglio con il canone, che rappresenta più del 50% dei ricavi Rai. Tanto più che ora alcuni giornali vicini al centrodestra e strutture dell?attuale maggioranza di governo (i Circoli della libertà) che controlla due canali su tre e il consiglio di amministrazione hanno lanciato una singolare campagna di boicottaggio.

Pagano 15.939.000 famiglie, più o meno le stesse del 1993, quando i contribuenti erano 15.700.000. Non pagano, pur essendo stati già messi a ruolo, 737 mila. Ma il tasso di evasione presunto è ben superiore: 28%. Resta il fatto che con l?attuale struttura aziendale il canone non riesce nemmeno a fornire le risorse necessarie alle attività di «servizio pubblico». Il bilancio 2007 di queste attività ha chiuso in perdita per 260 milioni di euro.

Se poi si aggiunge la decisione voluta fortemente da Masi, di recedere dal contratto che legava Sky a Raisat, la società presieduta da Carlo Freccero (nella quale ha una partecipazione del 5% anche Rcs MediaGroup, editrice del Corriere ), il quadro si fa ancora più complesso.

Secondo Masi la decisione di abbandonare la piattaforma satellitare di Rupert Murdoch eviterà una emorragia ulteriore di ricavi pubblicitari. Nel frattempo, però, la Rai rinuncia da fine luglio agli oltre 50 milioni annui che Sky le versava come corrispettivo: cifra tra l?altro destinata a crescere, per una clausola contrattuale, con l?aumento degli abbonati alla tivù satellitare del magnate australiano. Nel 2008 l?introito è stato di 55,2 milioni, contro i 53,3 del 2007.

Ed è difficile sostenere che ciò non abbia una conseguenza immediata sui conti del 2009, che chiuderanno, ha detto Masi, con una perdita di 50 milioni. Per quanto riguarda il futuro, si vedrà. Si vedrà soprattutto se e come funzionerà la nuova piattaforma nata nell?estate del 2008, e battezzata Tivù, nella quale non a caso la Rai è in società con Mediaset, e di cui Telecom Italia ha una quota minoritaria.

Tutto questo mentre la televisione pubblica è costretta a coprire i grandi eventi sportivi, dal costo sempre più insostenibile: l?anno scorso Europei di calcio e Olimpiadi hanno fatto schizzare all?insù di 145,6 milioni i costi operativi. Una mazzata, non compensata dalla pubblicità. Per non dire degli stipendi. La differenza fra Rai e Mediaset è tutta qui. Con fatturati italiani e audience paragonabili, le due aziende hanno una differenza enorme: il numero di buste paga. Compresi i lavoratori a tempo determinato, la Rai paga 13.236 dipendenti, spendendo un miliardo e 9 milioni di euro. Mediaset «Italia», invece, nel 2008 ne ha retribuiti mediamente 5.122.

Ossia 8.114 in meno. Il peso economico di questo macigno si sente, eccome. Il costo del lavoro in Rai supera di 580 milioni quello di Mediaset Italia. In larga misura una tassa che l?azienda paga ai partiti: i suoi veri azionisti. E non soltanto, come si potrebbe pensare, con riguardo alla categoria più esposta alla politica, cioè i giornalisti. Vero è che sono più di 2.000, se si calcolano anche i 347 precari. Sono 347, più o meno quanti sono tutti i giornalisti di Mediaset Italia, 378. Oppure, quanti sono tutti i giornalisti Rai con qualifica di dirigente: 330 fra direttori, vicedirettori e capiredattori. Ogni cinque cronisti assunti in pianta stabile (1.659) c?è un generale. Naturalmente, non si può non sottolineare che fra l?offerta informativa della Rai e quella di Mediaset c?è un abisso, e che la tivù di Stato mantiene affollatissime redazioni regionali.

Ma 2.006 giornalisti non sono uno scherzo. Come non lo sono 8.134 impiegati, due volte e mezzo quelli del concorrente privato. Alla Rai ci sono perfino 12 medici ambulatoriali dipendenti dell?azienda. Il numero dei dirigenti, invece, è identico: 347. E questo potrebbe spiegare perché il costo pro capite del lavoro sia più alto a Mediaset: 83.795 euro contro 76.276 euro.

Se non ci fosse il fardello supplementare di qualche migliaio di dipendenti, non c?è dubbio che la musica del conto economico Rai sarebbe un?altra. Basta un?occhiata alle cifre. In un anno di difficoltà come il 2008 il bilancio Mediaset Italia ha chiuso in utile per 378 milioni (459 milioni i profitti di tutto il gruppo), mentre i conti della Rai erano in perdita per 7 milioni.

La differenza aritmetica non corrisponde ai 580 milioni di maggior costo del lavoro anche perché Mediaset, a differenza della Rai, paga non trascurabili interessi alle banche: fra i creditori c?è pure, per 310 milioni, Mediobanca, partecipata da Fininvest e nel cui consiglio siede il consigliere di Mediaset Marina Berlusconi. Secondo una stima della stessa Mediobanca il principale gruppo televisivo privato archivierà il 2009 in Italia con 259 milioni di utili, che saliranno a 299 nel 2010, quando anche la ripresa del titolo si dovrebbe essere consolidata. Mentre i conti dalla Rai sarebbero in rosso profondo.

Come arginare questa situazione? Sforbiciando qua e là. Ma talvolta con interventi che lasciano decisamente perplessi sulle motivazioni economiche. Come nel caso della tutela legale alla trasmissione «Report» di Milena Gabanelli, indicata da qualcuno nel centrodestra (il presidente della commissione Trasporti e Comunicazioni della Camera Mario Valducci) fra quelle «ostili» alla maggioranza di governo.

Masi ha insistito fino all?ultimo per eliminarla, portando come giustificazione i costi delle cause di risarcimento a cui l?azienda sarebbe esposta. Sapete quanto è accantonato a fondo rischi per tutte le cause legali intentate nei confronti di viale Mazzini, compreso anche il contenzioso civile a carico di «Report» diventato ormai la pietra dello scandalo, e comprese anche le controversie contrattuali? Settanta milioni. Contro i 62,7 milioni messi da parte nel bilancio di Mediaset: che a questa somma doveva però aggiungere 76,8 milioni proprio per i rischi contrattuali.

Cifre sicuramente importanti, anche se va precisato che l?accantonamento non equivale affatto a un costo. Spesso, anzi, è addirittura un risparmio. Quanto costeranno invece le inutili infornate di direttori e vicedirettori di reti e testate decise solo per motivi di lottizzazione politica?

Sergio Rizzo
per "Corriere.it"

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