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Chi guarda i telefilm? Analisi sull'audience delle serie tv (con video)

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Fonte: Digital-Sat (original)

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Televisione
Torniamo a parlare di telefilm come ogni lunedì, sfruttando gli spunti provenienti dalla quinta edizione del Telefilm Festival, che abbiamo seguito per tutta la settimana di manifestazioni. Oggi vogliamo parlare dell’influsso del prodotto seriale (prevalentemente di origine americana) nell’audience, anticipando il discorso relativo all’Auditel della prossima settimana.
 
I dati che seguiranno provengono da una ricerca della società di analisi Carat Expert, che ha presentato i risultati di questo studio nel corso del Telefilm Workshop dello scorso 10 Maggio. Come ha esposto la research manager Federica Setti, quella dei telefilm è un’affermazione globale sulla maggioranza del pubblico televisivo totale, come testimonia negli ultimi anni la progressiva espansione delle prime serate dedicate ai telefilm: nella scorsa stagione autunnale basti pensare a Criminal Minds, NCIS, Cold Case, Senza Traccia (Rai Due), Medium (Rai Tre), Smallville, CSI: Miami, Dr. House (Italia 1) e Law & Order (La7).
 
L’Auditel ha sistematicamente promosso i programmi sopra elencati, tanto che Italia 1 ha iniziato a dedicare con costanza un paio di serate fisse alla serie tv, come quella medical del venerdì (con Dr. House, Grey’s Anatomy e Nip/Tuck) o quella poliziesca del giovedì con gli investigatori di CSI.
 
Ma quale pubblico è abituato a seguire questo genere di programmi? Il target di riferimento, presso cui i telefilm fanno breccia, è larghissimo: dai 15 ai 44 anni, tanto che possono essere indubbiamente definiti un prodotto di largo consumo. All’interno di questo vasto intervallo, però, possiamo suddividere due sottogeneri: quello della cosiddetta generazione X, composta dagli spettatori di età compresa tra i 25 e i 44 anni, che segue prevalentemente serie gialle come CSI e NCIS, ma non disprezzano i medical drama come Grey’s Anatomy e Nip/Tuck.
Poi, invece, abbiamo la generazione Y, con i giovanissimi tra i 15 e i 24 anni: a loro piacciono di più le teen drama in cui immedesimarsi, come O.C. e Smallville. Unico titolo trasversale è, come prevedibile, Dr. House, recentemente acclamato all’unanimità campione della stagione.
 
In questo straordinario successo, in chiave sociologica, un aspetto assume particolare interesse: il concetto di “culto televisivo” che il semiologo Ugo Volli definisce come un  “programma con una fruizione molto elevata, in grado di fidelizzare e coinvolgere lo spettatore in misura di gran lunga superiore alla media”. La motivazione ricorrente può essere ricercata nella natura strutturale del prodotto: la combinazione di generi o sottogeneri diversi integrati tra loro in maniera inedita dà l’impressione della nascita di un modello nuovo. Prendiamo per esempio Disperate Housewives, che alterna tratti tipici della soap, della sit-com e del poliziesco; oppure Lost, un misto di sci-fiction, thriller e avventura.
 
Anche i temi, sempre di più ispirati al contesto reale, aumentano l’interesse rappresentando i trend sociali emergenti , finendo anche per influenzare la realtà, attraverso quei leader d’opinione, mutuati dal modello della comunicazione a due stadi di Katz e Lazasfeld.
Proprio questi opinion leader, facendo valere il loro ruolo influente nel gruppo in cui sono radicati, amplificano l’influenza che i media, qui sotto forma di telefilm, esercitano sull’audience.
 
E così spostiamo la nostra attenzione sulla pubblicità, componente quasi indispensabile dei media che, negli ultimi anni, ha sfruttato il canale dei telefilm per sperimentare nuove strade comunicative: è l’esempio del product placement, la pubblicità occulta all’interno del telefilm, largamente in uso negli States (vedi, per esempio, il caso dei computer Apple all’interno di CSI o delle Manolo Blahnik di Sarah Jessica Parker in Sex and The City). Questo genere di spot è attualmente vietato in Italia (limitatamente alle fiction), anche se stando alle ultimissime notizie qualcosa, a livello europeo, si sta muovendo…
 
Nel frattempo, la tv italiana sperimenta la promo-fiction (o promo-serial), una particolare forma di messaggio promozionale realizzato con i canoni della fiction, possibilmente la stessa del telefilm all’interno del quale va in onda. Un esempio è quello che vi proponiamo qui sotto, una promo-fiction Vodafone all’interno di una puntata di CSI su Italia 1, ma esempi del genere non mancano neanche in Rai. La differenza tra Sipra (la concessionaria di pubblicità Rai) e Publitalia (la corrispettiva Mediaset), come spiegano da Carat Expert, sta nel fatto che «le prime riprendono trama e contenuti della puntata in onda, mentre quelle Publitalia sfruttano doppiaggio, ambientazione e modalità di ripresa tipiche del telefilm per raccontare il brand/prodotto (ad esempio, Cronotech con Dr. House)». 

 

 

Sebbene siano ormai in uso, anche questo genere di spot è stato fortemente criticato ed è in corso un’analisi dell’Autorità Garante per le Comunicazioni (AGCOM) per valutare se tali messaggi pubblicitari non siano ingannevoli per lo spettatore, che non sarebbe in grado di separare correttamente la pubblicità dalla serie.
 
Queste ultime forme di pubblicità dimostrano che l’interesse generale verso il prodotto seriale, sia di chi la televisione la fa sia di chi la guarda, è altissimo e in costante crescita. Un genere su cui già molto si punta e che sarà chiamato ad una dura riconferma nella prossima stagione. Un aiuto, in questo senso, sarebbe un rafforzamento della fiction nostrana (per riallacciarci al precedente editoriale), cui il successo delle serie tv americane dovrebbe sicuramente insegnare qualcosa.
 
Come ha scritto Massimo Scaglioni sulle pagine del Corriere della Sera Economia del 21 Maggio scorso, i produttori della fiction nazionale dovrebbero imparare «che l’asticella della qualità si sta, inevitabilmente, alzando. I pubblici più giovani e dinamici, educati al gusto e alla ricchezza creativa dei nuovi telefilm americani, difficilmente faranno marcia indietro. È la sfida da raccogliere al più presto, la risposta alla crisi creativa della tv.» Un motivo in più per sostenere che «il telefilm ci salverà (forse)».

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Giorgio Scorsone (Giosco)
per "Digital-Sat.it"
 
Bibliografia:
Carat Expert, "Il culto dell'audience", tratto da Link, RTI, ed. Aprile 2007, pp. 141-149
Massimo Scaglioni, "I telefilm sono un trionfo. Salveranno la tivù?", tratto da Il Corriere della Sera Economia, 21 Maggio 2007, pag. 6

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